lunedì 30 luglio 2012

LA REALTA' DELLA BIOPLASTICA TRA SVILUPPO E RISCHI


Le bioplastiche non si gettano ovunque, il giusto contenitore è quello dell'organico."Quando vengono inserite nel contenitore della plastica possono provocare problemi, ad invitare i cittadini ed essere più responsabili è Andrea Messori, consigliere di amministrazione del consorzio Carpi, Consorzio autonomo riciclo plastica Italia  
Questo l'articolo uscito su Adnkronos lo scorso 27 luglio 2012.
Roma, 27 lug. - (Adnkronos) - Non ci sono dubbi che la bioplastica sia un materiale innovativo ma, come in tutte le cose, bisogna fare attenzione soprattutto per quando riguarda la biodegradabilità. Ad invitare i cittadini ed essere più responsabili è Andrea Messori, consigliere di amministrazione del consorzio Carpi, Consorzio autonomo riciclo plastica Italia che gestisce la raccolta e il riciclo degli imballaggi in plastica terziari, ossia del settore privato.

 Con le sue attuali 30 aziende, Carpi raccoglie e ricicla il 50% della plastica derivante dagli imballaggi terziari, contribuendo al raggiungimento degli obiettivi nazionali e comunitari di riciclo. Più precisamente, in Italia si raccolgono e si recuperano circa 710mila tonnellate di plastica di cui 355mila derivano da raccolta urbana e domestica, di competenza di Corepla. Le restanti 355mila sono di competenza del circuito indipendente e di questa quota Carpi raccoglie e ricicla circa 200mila tonnellate.
Nel campo della raccolta e del riciclo, la bioplastica "pur trattandosi di un materiale innovativo, comporta diversi problemi". Ad iniziare da dove viene gettato. "La bioplastica deve andare nell'organico, e quando viene inserito nel contenitore della plastica può provocare problemi". Secondo quanto riferisce Messori, "è importante ricordare che non tutte le plastiche sono compatibili tra loro e se non ci si accorge del'oggetto realizzato in bioplastica può creare problemi nella fase di riciclo". Purtroppo, però, il messaggio che passa "è che tanto la bioplastica si degrada". Ma non è proprio così: "il materiale biodegradabile non sparisce per magia ma necessita di alcune condizioni biochimiche e di temperatura, fissate dalla normativa". Condizioni che si verificano "solo nella frazione organica". "Non è vero, dunque, che il sacchetto biodegradabile può essere gettato ovunque. Anche il sacchetto biodegradabile se ingerito può uccidere un delfino".


Fonte: Adnkronos

martedì 24 luglio 2012

PLASTICS: JAPAN IS RECYCLING 77%

Japan is leading the world in terms of plastics recycling with a rate of 77% for 2010 - which is about twice that of the UK and well above the 20% figure for the USA.

The plastics recycling rate in Japan has increased from levels of 73% in 2006 and 39% in 1996. Since 1997, the nation's government has passed several laws to address the disposal and treatment of plastic waste in response to rising generation by its 127 million population and a shortage of landfill space near metropolitan areas in particular. 

According to the Japan Plastic Waste Management Institute, the country was responsible for the material recycling of 2.1 million tonnes of plastic waste in 2006 while 4.8 million tonnes underwent thermal recycling. Japan recycled 72% of its PET bottles in 2010 compared with figures of 48% in Europe and 29% in the USA.

GUIDA SUI TERMINI AMBIENTALI DEGLI IMBALLAGGI


Riassumiamo in un breve articolo la Guida ai termini “bio-based”, “biodegradabile”, “compostabile”, e altri titoli ambientali applicati ai prodotti di plastica, pubblicata dalla British Plastics Federation. Con un linguaggio semplice ed esterno da ideologie di fondo vengono definiti specificatamente alcuni termini entrati a far parte del linguaggio comune senza però conoscerne a fondo il significato. Vi esponiamo un breve stralcio del documento di seguito.


Bio- based

Claims that a product or package is “bio-based” shall be qualified if the product or package is not made entirely from biomass.

Biodegadrable - Biodegradabile

Claims that a product or package is “biodegradable” shall be verifiable and substantiated by competent and reliable scientific evidence as required by the ISO14021.

Compostable - Compostabile

A claim that a product or package is “compostable” shall be substantiated by reliable scientific evidence that all the materials in the product or package will break down into usable compost in a safe and timely manner in an appropriate composting facility. Such evidence shall be technically independent of the influence of any company or associated individuals.

Recyclable – Riciclabile

A product or package shall only be marketed as recyclable where there is evidence that appropriate recycling infrastructure exists.

Renewable – Rinnovabile

Claims that a product or package is “renawable” should be used with great care as there is currently no internationally agreed definition for the term.





lunedì 16 luglio 2012

SAPEVI CHE QUESTA DIFFERENZIATA COSTA SEMPRE DI PIU'?


Secondo J.A. Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia, lo sviluppo economico è dovuto all'innovazione continua, introdotta dagli imprenditori, che si basa sulla distruzione creatrice provocata dalla concorrenza sul libero mercato.
Per scrivere questo post riguardante una delle tante criticità del sistema italiano abbiamo deciso di adottare lo stesso spirito di Schumpeter, ossia esporre il problema nei suoi punti critici più profondi e poi proporre delle soluzioni percorribili ed efficaci.

La gestione della nostra raccolta differenziata è un sistema creato ad hoc e che prevede come suo finanziatore la figura del cittadino. Una cittadinanza che, oltre a non ricevere nessun compenso per il proprio lavoro di differenziazione dei rifiuti, è chiamata al pagamento di numerose “tasse”, dalla Tia alla Tarsu, fino al Contributo Ambientale Conai applicato indirettamente su ogni prodotto imballato che acquistiamo (99% dei casi), per la gestione dei rifiuti.


Ma se i comuni, le associazioni di cittadini e ambientaliste, ci tengono così tanto alla raccolta differenziata, e di conseguenza i quantitativi selezionati nelle nostre case aumentano costantemente, perché i costi per gestire la nostra spazzatura continuano ad aumentare? Questo significa che se arrivassimo al 100% di differenziata nel nostro comune il costo per i nostri rifiuti lieviterebbe da Tarsu, Tia o contributi ambientali per gli imballaggi? Ecco il nocciolo della questione: se il servizio pubblico non è in grado di gestire il settore rifiuti senza alzare le tasse ai cittadini perché non lascia al libero mercato e alla libera concorrenza la gestione dello stesso? L'interesse privato non può venire meno se il bene in questione è prezioso ed ha un valore economico.

Se la campagna pubblicitaria nazionale di Corepla -“La plastica. Troppo preziosa per diventare un rifiuto”- voleva farci venire a conoscenza dell'importanza ambientale ed economica dei nostri rifiuti di plastica non si spiega perché nel nostro Paese le tariffe per la gestione dei rifiuti siano ormai fuori controllo: negli ultimi 5 anni si è registrato un aumento del 14% con incrementi record a Salerno (+97,7%), Reggio Calabria (+96,3%), Napoli (+79,5%), Roma (+53%), Imperia (+41,4%).
In media una famiglia italiana composta da tre persone con un'abitazione di proprietà di 100 mq, paga 246 euro in un anno per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con un aumento del 2,1% rispetto all'anno precedente. Cinque città nell'ultimo anno hanno fatto registrare incrementi superiori al 20% rispetto al 2010 tra cui: Foggia, Venezia, Sassari, Vibo Valentia e Macerata. La media annua più alta si trova in Campania mentre la più bassa in Molise. A Milano la Tarsu arriva a costare quasi il doppio della Tia pagata a Brescia (da 262€ ai 134€). Lo stesso dicasi per la Sicilia, dove la Tarsu pagata a Siracusa (407€) supera di 165,50 € di quella pagata a Caltanissetta.
Analizzati questi dati viene da chiedersi in cosa consista e a vantaggio di chi sia il valore dei nostri rifiuti?

Continuiamo con l'analisi dei dati. Il Sud produce meno rifiuti ma gli costano di più: in media, per pagare la bolletta dei rifiuti si spende di più nelle regioni del meridione (264€), dove l'aumento rispetto al 2010 è stato del 1,5%, seguono le regioni centrali (252€), +2% rispetto al 2010 e il Nord Italia (228€) con un +2,2% rispetto al 2010. Quest'ultimo aspetto è molto interessante: nonostante il Nord aumenti i quantitativi di differenziata i costi per adempiere a questo servizio non calano, anzi, aumentano più del 12% rispetto al 2007.
Indubbiamente, la gestione del ciclo dei rifiuti è emblematica delle tante contraddizioni di cui è vittima il nostro Paese: il servizio non migliora mentre i costi sopportati dalle famiglie sono sempre maggiori. In particolare, le tariffe aumentano di più nelle zone del Paese a più basso reddito. Negli ultimi 5 anni, sono aumentate mediamente del 44% in Campania e del 20% circa in Calabria.
Da Sud a Nord, gli incrementi si registrano ovunque, a dimostrazione della mancanza di una politica nazionale della gestione dei rifiuti, capace di legare gli elementi di costo ad elementi di qualità del servizio. Riguardo quest'ultimo grave aspetto c'è una sorta di incapacità generale imputabile ancora una volta all'amministrazione pubblica e privata competente, di riuscire a far percepire la raccolta differenziata al cittadino non solo come un'imposizione dall'alto ma come un'attività di cui essere in primis responsabile e in un secondo luogo diretto fruitore del valore dei propri rifiuti.
Da un altro punto di vista anche la ripartizione “a valle”, ossia nei confronti di ogni singolo cittadino, dei costi sempre più elevati della raccolta differenziata non sembra proporzionale all'oggetto in questione. Prendiamo il caso della plastica: viene pubblicizzata come una risorsa e non come un rifiuto sebbene continuiamo a pagare di più per la sua gestione. Le risorse derivanti dalla plastica a chi arrivano?

Dopo aver distrutto, sempre seguendo Schumpeter, mettiamo in atto la nostra forza creatrice.

La prima via d'uscita al problema è già in atto: sono in aumento, infatti, il numero delle persone che in Italia vivono in quei comuni in cui si adotta la strategia Rifiuti Zero. Per ora la percentuale di popolazione raggiunge il 3,6% sul totale e si tratta circa di 2 milioni di persone.
La seconda, è quella di rendere il singolo cittadino il reale protagonista della gestione dei suoi rifiuti. Come? Iniziando a far guadagnare al cittadino dai suoi rifiuti e non prevedere l'individuo sempre come un semplice contribuente. Passando dalla teorie alla pratica, il primo passaggio potrebbe essere quello di consentire al cittadino di valorizzare economicamente i suoi rifiuti più facili da individuare come ad esempio le bottiglie di plastica, fogli di carta o cartone, bottiglie di vetro, vasi in plastica portandoli direttamente presso centri di raccolta o riciclo creati ad hoc da imprese private e in concorrenza. In questo modo i centri di riciclo avrebbero a disposizione ingenti quantitativi di rifiuti già selezionati, le municipalizzate minor quantitativi da gestire abbassando quindi i costi di gestione e lo stesso consumatore finale vedrebbe la bolletta ridimensionata, oltre a disporre di un guadagno diretto per i suoi rifiuti più preziosi.
La terza via d'uscita è complementare alla seconda. Per illustrarvela abbiamo intervistato Paolo Glerean di EuPR, l'associazione di riciclatori di plastica europei.
“Non più tardi di un paio di mesi fa, ad un importante convegno sul tema organizzato dal Consorzio CARPI”, ci racconta lo stesso Paolo Glerean, “vedo alzarsi dal pubblico una persona, presentarsi come cittadino consumatore e chiedere ad un autorevolissimo relatore: so che le materie prime hanno un valore sempre più elevato. Se io a casa mia divido e addirittura ripulisco gli imballaggi in plastica, perché li devo poi mettere in un bidone e pagare una tassa invece di avere la possibilità di portarli in un posto diverso ed ottenere un compenso?”

- Dottor Glerean, come ha risposto a questa provocazione?
Ho risposto che in un mondo ideale dove tutti i materiali fossero riciclabili, il cittadino potrebbe portare questi materiali direttamente in centri di raccolta/riciclo dove effettivamente otterrebbe un compenso, in quanto le aziende riciclatrici pagherebbero questo materiale come materia prima.

- Questo mondo ideale ancora non esiste?
Purtroppo la maggior parte degli imballaggi in plastica non è riciclabile ma se nel corso del 2011 le aziende riciclatrici europee sono arrivate a pagare cifre superiori alle 800 Euro a tonnellata per delle bottiglie in PET, il ragionamento del cittadino non è poi così tanto campato in aria.
Un manufatto (e quindi anche un imballaggio) composto da materiali facili da riciclare, magari il cui riciclo fornisca una materia prima seconda di valore elevato, ha un suo valore anche alla fine della sua “prima” vita. Viceversa un manufatto composto da materiali non riciclabili rappresenta un costo per il sistema, in quanto a fine vita si dovranno spendere ulteriori risorse per smaltirlo.
- Quale potrebbe essere la soluzione per ovviare a questo problema?
La soluzione appare quasi troppo semplice: realizzare manufatti riciclabili e non realizzare manufatti non riciclabili. Oggi, purtroppo, esiste una sorta di incomunicabilità tra chi progetta e realizza gli imballaggi (manufatti) e chi li ricicla.
- Che politiche sta attuando l'associazione europea dei riciclatori?
Abbiamo allo studio un progetto per la creazione di un marchio che consenta di classificare gli imballaggi assegnando loro delle classi di riciclabilità. L’adozione di un simile marchio a livello aggregato consentirebbe di orientare il mercato verso forme di imballaggio più efficienti dal punto di vista ambientale; se questo schema diventasse poi la base per costruire una struttura differenziata di contributi ambientali (in base al principio “chi più inquina più paga”) allora i produttori ed utilizzatori stessi di imballaggi troverebbero più conveniente dal punto di vista economico orientarsi verso soluzioni più efficienti.
Produrre tutti gli imballaggi riciclabili, però, non sarà sufficiente ad abbassare la nostra bolletta senza un reale impegno da parte del cittadino nel rendersi protagonista diretto della gestione dei propri rifiuti e senza una concessione da parte delle amministrazioni pubbliche e previste per legge a liberalizzare l'intero settore attraverso un approccio favorevole alla libera concorrenza e che preveda il cittadino come il reale proprietario dei suoi rifiuti.
Dal nostro punto di vista vedremmo molti meno casi di rifiuti lasciati in disparte lungo i margini delle strade se ognuno di noi guadagnasse anche un minimo compenso da quei manufatti abbandonati. Anzi, vivremmo la corsa ai rifiuti.

E tutto questo a vantaggio dell'ambiente, ma soprattutto delle nostre tasche!

martedì 10 luglio 2012

I SIMBOLI DEGLI IMBALLAGGI


Il simbolo dell'imballaggio in plastica che teniamo tra le mani ci serve a farci capire da che materiale plastico è composto l'oggetto che stiamo osservando. Tale logo ci da delle preziosissime informazioni circa la riciclabilità di tale prodotto e ci aiuta anche nel conferirlo nell'esatto contenitore che verrà poi preso in carico dall'azienda di raccolta rifiuti urbana e speciale.

Per quanto riguarda le materie plastiche i codici sono essenzialmente 7 e tali simboli sono molto diffusi su ogni tipo di prodotto. Tali simboli sono:

Simbolo Codice Descrizione
Plastic-recyc-01.svg #1 PET o PETE Polietilene tereftalato o arnite: bottiglie di acqua, bottiglie di bibite, flaconi di shampoo
Plastic-recyc-02.svg #2 HDPE

Polietilene ad alta densità: contenitori degli yogurt, flaconi di detersivo
Plastic-recyc-03.svg #3 PVC o V Cloruro di polivinile: contenitori per alimenti

Plastic-recyc-04.svg #4 LDPE Polietilene a bassa densità: sacchetti cibi surgelati, bottiglie spremibili
Plastic-recyc-05.svg #5 PP Polipropilene o Moplen: bottiglie di ketchup
Plastic-recyc-06.svg #6 PS Polistirene o Polistirolo: bicchieri monouso
Plastic-recyc-07.svg #7-#19 O Tutte le altre plastiche


Si possono conferire nella campana della plastica solo gli imballaggi contrassegnati da uno dei sette simboli sopraelencati.

RICICLO, SUGLI IMBALLAGGI INDUSTRIALI L'ITALIA E' AI VERTICI

recycle - autore: Keith WilliamsonL’industria del riciclo italiano è all’avanguardia a livello europeo, almeno nel settore degli imballaggi. E negli ultimi undici anni ha portato al Paese un risparmio pari a 9,3 miliardi di euro, l’importo di una piccola manovra Finanziaria. Lo rivela il rapporto “L’industria italiana del riciclo tra competizione internazionale e politiche nazionali”, realizzato da Althesys.

Chi realmente ricicla i nostri rifiuti sono le aziende di riciclo (società nella maggior parte dei casi di diritto privato) che annualmente inviano a CONAI una dichiarazione sul loro operato (attraverso il Modello Unico Dichiarazione Ambientale, MUD).
L'operato di CONAI si concentra invece sulla riscossione di un contributo (Contributo Ambientale Conai) nei confronti degli utilizzatori di tutti gli imballaggi, sia questi primari, secondari e terziari. Attualmente il contributo sulla plastica è di 120,00 € a tonnellata. Una parte di questo contributo viene versato alla municipalizzata di turno che si preoccuperà di selezionare la nostra immondizia.

Il riciclo meccanico supera il 60% per quanto riguarda la plastica, in netto miglioramento rispetto agli anni precedenti. Le vantaggi per l'ambiente sono ingenti: 770 mila tonnellate di CO2 in meno disperse nell'atmosfera nel 2011, più di 6 milioni dal 2002 a oggi. Per quanto rigiarda il consumo energetico, secondo i dati ufficiali del Corepla, siamo intorno ai 6.920 GWh risparmiati.

Il Sistema degli imballaggi in Italia si trova quindi a soffrire di un grande squilibrio di visibilità in termini mediatici e legislativi con forti ricadute anche in termini economici.
A CONAI infatti spetta responsabilizzare il cittadino e trasmettere all'Europa i nostri dati di riciclo, informazioni, queste, che però giungono dalle aziende di riciclo e solo in seconda battuta a CONAI in quanto organo ufficiale di gestione del sistema imballaggi in Italia.

mercoledì 4 luglio 2012

RIFIUTI: ECCO COME FUNZIONA LA RACCOLTA DIFFERENZIATA

Chi paga e chi ci guadagna dai rifiuti differenziati?

La raccolta differenziata è una delle nuove abitudini entrate a gamba tesa nelle case degli italiani. Volenti o nolenti, infastiditi o meno, tutti ligi nel predisporre sacchetti di diverso colore per la carta e per la plastica, per il vetro, per l’umido e infine per l’indifferenziato.
Sottoposti ai rigidi calendari del porta a porta, con lo spauracchio di una multa, chiedendosi spesso il perché di tanta maniacale attenzione.
Secondo il parere oramai diventato comune il motivo di così tanta solerzia si riassume nel fatto che “è per il bene dell’ambiente, non è sostenibile continuare a buttare tutto in discarica”. Altri, forse più critici ma attenti osservatori risponderanno con un laconico  “ma tanto quando passa il camion dei rifiuti butta tutto insieme, che ci perdo il tempo a fare”.

Le tre “R” della gestione dei rifiuti

La storia e i retroscena della raccolta differenziata in Italia è alquanto lunga, intricata e complessa. Tre caratteristiche oramai consone al sistema economico italiano quando uno degli attori di quello stesso sistema a cui ci riferiamo è un attore pubblico o chi ne fa le veci. Cerchiamo comunque di spiegarvelo facendo riferimento ad un articolo uscito sul sito NinjaMarketing alcuni giorni fa.

Il riciclaggio, di per sé, è una soluzione ottimale rispetto ad altri metodologie di gestione dei rifiuti urbani e speciali.

Facciamo per esempio riferimento al modello delle “3R”.

La prima “R” è la riduzione: dovremmo evitare di produrre rifiuti, ad esempio, usando sacchetti resistenti per la spesa in luogo dei sacchetti monouso, ed evitando di acquistare beni con imballaggi (es. comprando la frutta sfusa dal fruttivendolo).
La seconda “R” è il riuso: comprare bottiglie di vetro per l’acquisto di olio e detersivo sfuso, l’utilizzo dei barattoli del sugo pronto per confetture e via dicendo.
La terza “R” è il riciclaggio (insieme al recupero energetico) deve essere una strategia residuale. Si tratta di una soluzione che evita il più grosso dei mali: il conferimento in discarica. Si tratta di una soluzione ad alto impatto ambientale, con grossi rischi per la salute.
Milioni di tonnellate di materiale prezioso finiscono nelle discariche ogni giorno, talvolta a centinaia di chilometri di distanza, per somma gioia delle organizzazioni criminali, che qui trovano terreno fertile per le proprie attività malavitose.

Dove finiscono i rifiuti differenziati?

Ma che succede quando un cittadino butta un imballaggio di plastica nell’apposito bidone della raccolta differenziata? L'imballaggio entrerà a far parte del sistema CONAI, un consorzio privato ma istituito per legge che si occupa del funzionamento del sistema del riciclaggio italiano degli imballaggi.
Il sistema CONAI è molto semplice: chi utilizza gli imballaggi (ad esempio un pastificio che usa le scatole di cartone per confezionare la pasta o un'azienda che imbusta fazzoletti di carta) è obbligato a pagare il CAC, Contributo Ambientale CONAI.
Il CONAI utilizza questi fondi per pagare i Comuni affinché facciano la selezione della nostra raccolta differenziata tramite una serie di sotto-consorzi dedicati alle singole materie prime (es. COREPLA per gli imballaggi di plastica). Il cittadino invece paga, attraverso la TARSU, il trasporto dei propri rifiuti dalla propria abitazione al centro di selezione.
Il messaggio che CONAI lancia ai Comuni è sostanzialmente il seguente: “Comune, fai la raccolta differenziata, ed io pagherò i costi per la tua selezione ad un prezzo tale da coprire le tue spese, purchè rispetti degli standard minimi di qualità”. CONAI si pone quindi come unico garante e compratore di ultima istanza del mercato italiano.
I rifiuti raccolti nel sistema CONAI vengono poi riassegnati agli impianti di riciclaggio privati, tramite aste competitive oppure in base a complicati meccanismi di ripartizione delle quantità. È un sistema particolare per cui talvolta gli impianti di riciclaggio vengono addirittura pagati purché si prendano in carico il materiale da riciclare, ed altri invece dove si danno battaglia a suon di rialzi pur di assicurarsi un lotto di materiale particolarmente prezioso.

Questione di soldi

Il sistema, dunque, sembrerebbe essere tutto sulle spalle delle aziende che utilizzano gli imballaggi per confezionare le proprie merci attraverso il pagamento il contributo ambientale facendolo rientrare tra i costi di produzione che vanno ad incidere poi sul prezzo della merce che il consumatore finale acquista. I Comuni, dal canto loro, invocano maggiori pagamenti per la raccolta differenziata, soprattutto nel momento in cui sviluppano sistemi di raccolta più costosi come la differenziata spinta porta a porta.
Al CONAI, in cabina di regia, non rimane altro che regolare il mercato, e di indirizzare un fiume di denaro nato per tutelare l’ambiente, ma che muove gli interessi di migliaia di addetti. 
Tra l'incudine e il martello c'è sempre il cittadino ignaro del complesso sistema di rapporti che regolano e che sono generati dalla sua raccolta differenziata. Da una parte ci troviamo nella bolletta una tassa per il trasporto dei rifiuti e in più tra i costi che vanno a formare il prezzo di un qualsiasi prodotto che acquistiamo c'è anche il Contributo Ambientale CONAI per la selezione dei nostri rifiuti da imballaggio. Come ovviare a questa complessità?

Consentire al cittadino di essere il reale e principale protagonista della gestione dei propri rifiuti in modo tale da consentire a chiunque di vedere lo snellimento della propria bolletta e togliere inoltre un costo alle aziende che utilizzano gli imballaggi per imballare i loro prodotti. Tanto, oramai, anche un bambino ha capito che i rifiuti posseggono un valore economico più che ambientale. I bambini-infatti-speriamo siano proprio loro a salvarci da questi sistemi macchinosi...