Secondo J.A. Schumpeter
in Capitalismo, socialismo e democrazia, lo sviluppo economico
è dovuto all'innovazione continua, introdotta dagli imprenditori,
che si basa sulla distruzione creatrice provocata dalla
concorrenza sul libero mercato.
Per scrivere questo post
riguardante una delle tante criticità del sistema italiano abbiamo
deciso di adottare lo stesso spirito di Schumpeter, ossia esporre il
problema nei suoi punti critici più profondi e poi proporre delle
soluzioni percorribili ed efficaci.
La gestione della nostra
raccolta differenziata è un sistema creato ad hoc e che prevede come
suo finanziatore la figura del cittadino. Una cittadinanza che, oltre
a non ricevere nessun compenso per il proprio lavoro di
differenziazione dei rifiuti, è chiamata al pagamento di numerose
“tasse”, dalla Tia alla Tarsu, fino al Contributo Ambientale
Conai applicato indirettamente su ogni prodotto imballato che
acquistiamo (99% dei casi), per la gestione dei rifiuti.
Ma se i comuni, le
associazioni di cittadini e ambientaliste, ci tengono così tanto
alla raccolta differenziata, e di conseguenza i quantitativi
selezionati nelle nostre case aumentano costantemente, perché i
costi per gestire la nostra spazzatura continuano ad aumentare?
Questo significa che se arrivassimo al 100% di differenziata nel
nostro comune il costo per i nostri rifiuti lieviterebbe da Tarsu,
Tia o contributi ambientali per gli imballaggi? Ecco il nocciolo
della questione: se il servizio pubblico non è in grado di gestire
il settore rifiuti senza alzare le tasse ai cittadini perché non
lascia al libero mercato e alla libera concorrenza la gestione dello
stesso? L'interesse privato non può venire meno se il bene in
questione è prezioso ed ha un valore economico.
Se la campagna
pubblicitaria nazionale di Corepla
-“La
plastica. Troppo preziosa per diventare un rifiuto”- voleva farci
venire a conoscenza dell'importanza ambientale ed economica dei
nostri rifiuti di plastica non si spiega perché nel nostro Paese le
tariffe per la gestione dei rifiuti siano ormai fuori controllo:
negli ultimi 5 anni si è registrato un aumento del 14% con
incrementi record a Salerno (+97,7%), Reggio Calabria (+96,3%),
Napoli (+79,5%), Roma (+53%), Imperia (+41,4%).
In
media una famiglia italiana composta da tre persone con un'abitazione
di proprietà di 100 mq, paga 246 euro in un anno per il servizio di
smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con un aumento del 2,1%
rispetto all'anno precedente. Cinque città nell'ultimo anno hanno
fatto registrare incrementi superiori al 20% rispetto al 2010 tra
cui: Foggia, Venezia, Sassari, Vibo Valentia e Macerata. La media
annua più alta si trova in Campania mentre la più bassa in Molise.
A Milano la Tarsu arriva a costare quasi il doppio della Tia pagata a
Brescia (da 262€ ai 134€). Lo stesso dicasi per la Sicilia, dove
la Tarsu pagata a Siracusa (407€) supera di 165,50 € di quella
pagata a Caltanissetta.
Analizzati
questi dati viene da chiedersi in cosa consista e a vantaggio di chi
sia il valore dei nostri rifiuti?
Continuiamo
con l'analisi dei dati. Il Sud produce meno rifiuti ma gli costano di
più: in media, per pagare la bolletta dei rifiuti si spende di più
nelle regioni del meridione (264€), dove l'aumento rispetto al 2010
è stato del 1,5%, seguono le regioni centrali (252€), +2% rispetto
al 2010 e il Nord Italia (228€) con un +2,2% rispetto al 2010.
Quest'ultimo aspetto è molto interessante: nonostante il Nord
aumenti i quantitativi di differenziata i costi per adempiere a
questo servizio non calano, anzi, aumentano più del 12% rispetto al
2007.
Indubbiamente,
la gestione del ciclo dei rifiuti è emblematica delle tante
contraddizioni di cui è vittima il nostro Paese: il servizio non
migliora mentre i costi sopportati dalle famiglie sono sempre
maggiori. In particolare, le tariffe aumentano di più nelle zone del
Paese a più basso reddito. Negli ultimi 5 anni, sono aumentate
mediamente del 44% in Campania e del 20% circa in Calabria.
Da
Sud a Nord, gli incrementi si registrano ovunque, a dimostrazione
della mancanza di una politica nazionale della gestione dei rifiuti,
capace di legare gli elementi di costo ad elementi di qualità del
servizio. Riguardo quest'ultimo grave aspetto c'è una sorta di
incapacità generale imputabile ancora una volta all'amministrazione
pubblica e privata competente, di riuscire a far percepire la
raccolta differenziata al cittadino non solo come un'imposizione
dall'alto ma come un'attività di cui essere in primis responsabile e
in un secondo luogo diretto fruitore del valore dei propri rifiuti.
Da
un altro punto di vista anche la ripartizione “a valle”, ossia
nei confronti di ogni singolo cittadino, dei costi sempre più
elevati della raccolta differenziata non sembra proporzionale
all'oggetto in questione. Prendiamo il caso della plastica: viene
pubblicizzata come una risorsa e non come un rifiuto sebbene
continuiamo a pagare di più per la sua gestione. Le risorse
derivanti dalla plastica a chi arrivano?
Dopo
aver distrutto, sempre seguendo Schumpeter, mettiamo in atto la
nostra forza creatrice.
La
prima via d'uscita al problema è già in atto: sono in aumento,
infatti, il numero delle persone che in Italia vivono in quei comuni
in cui si adotta la strategia Rifiuti Zero. Per ora la percentuale
di popolazione raggiunge il 3,6% sul totale e si tratta circa di 2
milioni di persone.
La
seconda, è quella di rendere il singolo cittadino il reale
protagonista della gestione dei suoi rifiuti. Come? Iniziando a far
guadagnare al cittadino dai suoi rifiuti e non prevedere l'individuo
sempre come un semplice contribuente. Passando dalla teorie alla
pratica, il primo passaggio potrebbe essere quello di consentire al
cittadino di valorizzare economicamente i suoi rifiuti più facili da
individuare come ad esempio le bottiglie di plastica, fogli di carta
o cartone, bottiglie di vetro, vasi in plastica portandoli
direttamente presso centri di raccolta o riciclo creati ad hoc da
imprese private e in concorrenza. In questo modo i centri di riciclo
avrebbero a disposizione ingenti quantitativi di rifiuti già
selezionati, le municipalizzate minor quantitativi da gestire
abbassando quindi i costi di gestione e lo stesso consumatore finale
vedrebbe la bolletta ridimensionata, oltre a disporre di un guadagno
diretto per i suoi rifiuti più preziosi.
La
terza via d'uscita è complementare alla seconda. Per illustrarvela
abbiamo intervistato Paolo Glerean di EuPR, l'associazione di
riciclatori di plastica europei.
“Non
più tardi di un paio di mesi fa, ad un importante convegno sul tema
organizzato dal Consorzio CARPI”, ci racconta lo stesso Paolo
Glerean, “vedo alzarsi dal pubblico una persona, presentarsi come
cittadino consumatore e chiedere ad un autorevolissimo relatore: so
che le materie prime hanno un valore sempre più elevato. Se io a
casa mia divido e addirittura ripulisco gli imballaggi in plastica,
perché li devo poi mettere in un bidone e pagare una tassa invece di
avere la possibilità di portarli in un posto diverso ed ottenere un
compenso?”
-
Dottor Glerean, come ha risposto a questa provocazione?
Ho
risposto che in un mondo ideale dove
tutti i materiali fossero riciclabili, il cittadino potrebbe portare
questi materiali direttamente in centri di raccolta/riciclo dove
effettivamente otterrebbe un compenso, in quanto le aziende
riciclatrici pagherebbero questo materiale come materia prima.
-
Questo mondo ideale ancora non esiste?
Purtroppo
la maggior parte degli imballaggi in plastica non è riciclabile ma
se nel corso del 2011 le aziende riciclatrici europee sono arrivate a
pagare cifre superiori alle 800 Euro a tonnellata per delle bottiglie
in PET, il ragionamento del cittadino non è poi così tanto campato
in aria.
Un
manufatto (e quindi anche un imballaggio) composto da materiali
facili da riciclare, magari il cui riciclo fornisca una materia prima
seconda di valore elevato, ha un suo valore anche alla fine della sua
“prima” vita. Viceversa un manufatto composto da materiali non
riciclabili rappresenta un costo per il sistema, in quanto a fine
vita si dovranno spendere ulteriori risorse per smaltirlo.
- Quale potrebbe essere
la soluzione per ovviare a questo problema?
La
soluzione appare quasi troppo semplice: realizzare manufatti
riciclabili e non realizzare manufatti non riciclabili. Oggi,
purtroppo, esiste una sorta di incomunicabilità tra chi progetta e
realizza gli imballaggi (manufatti) e chi li ricicla.
- Che politiche sta attuando l'associazione europea
dei riciclatori?
Abbiamo
allo studio un progetto per la creazione di un marchio che consenta
di classificare gli imballaggi assegnando loro delle classi di
riciclabilità. L’adozione di un
simile marchio a livello aggregato consentirebbe di orientare il
mercato verso forme di imballaggio più efficienti dal punto di vista
ambientale; se questo schema diventasse poi la base per costruire una
struttura differenziata di contributi ambientali (in base al
principio “chi più inquina più paga”) allora i produttori ed
utilizzatori stessi di imballaggi troverebbero più conveniente dal
punto di vista economico orientarsi verso soluzioni più efficienti.
Produrre tutti gli imballaggi riciclabili, però,
non sarà sufficiente ad abbassare la nostra bolletta senza un reale
impegno da parte del cittadino nel rendersi protagonista diretto
della gestione dei propri rifiuti e senza una concessione da parte
delle amministrazioni pubbliche e previste per legge a liberalizzare
l'intero settore attraverso un approccio favorevole alla libera
concorrenza e che preveda il cittadino come il reale proprietario dei
suoi rifiuti.
Dal nostro punto di vista vedremmo molti meno casi
di rifiuti lasciati in disparte lungo i margini delle strade se
ognuno di noi guadagnasse anche un minimo compenso da quei manufatti
abbandonati. Anzi, vivremmo la corsa ai rifiuti.
E tutto questo a vantaggio dell'ambiente, ma
soprattutto delle nostre tasche!
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