lunedì 16 luglio 2012

SAPEVI CHE QUESTA DIFFERENZIATA COSTA SEMPRE DI PIU'?


Secondo J.A. Schumpeter in Capitalismo, socialismo e democrazia, lo sviluppo economico è dovuto all'innovazione continua, introdotta dagli imprenditori, che si basa sulla distruzione creatrice provocata dalla concorrenza sul libero mercato.
Per scrivere questo post riguardante una delle tante criticità del sistema italiano abbiamo deciso di adottare lo stesso spirito di Schumpeter, ossia esporre il problema nei suoi punti critici più profondi e poi proporre delle soluzioni percorribili ed efficaci.

La gestione della nostra raccolta differenziata è un sistema creato ad hoc e che prevede come suo finanziatore la figura del cittadino. Una cittadinanza che, oltre a non ricevere nessun compenso per il proprio lavoro di differenziazione dei rifiuti, è chiamata al pagamento di numerose “tasse”, dalla Tia alla Tarsu, fino al Contributo Ambientale Conai applicato indirettamente su ogni prodotto imballato che acquistiamo (99% dei casi), per la gestione dei rifiuti.


Ma se i comuni, le associazioni di cittadini e ambientaliste, ci tengono così tanto alla raccolta differenziata, e di conseguenza i quantitativi selezionati nelle nostre case aumentano costantemente, perché i costi per gestire la nostra spazzatura continuano ad aumentare? Questo significa che se arrivassimo al 100% di differenziata nel nostro comune il costo per i nostri rifiuti lieviterebbe da Tarsu, Tia o contributi ambientali per gli imballaggi? Ecco il nocciolo della questione: se il servizio pubblico non è in grado di gestire il settore rifiuti senza alzare le tasse ai cittadini perché non lascia al libero mercato e alla libera concorrenza la gestione dello stesso? L'interesse privato non può venire meno se il bene in questione è prezioso ed ha un valore economico.

Se la campagna pubblicitaria nazionale di Corepla -“La plastica. Troppo preziosa per diventare un rifiuto”- voleva farci venire a conoscenza dell'importanza ambientale ed economica dei nostri rifiuti di plastica non si spiega perché nel nostro Paese le tariffe per la gestione dei rifiuti siano ormai fuori controllo: negli ultimi 5 anni si è registrato un aumento del 14% con incrementi record a Salerno (+97,7%), Reggio Calabria (+96,3%), Napoli (+79,5%), Roma (+53%), Imperia (+41,4%).
In media una famiglia italiana composta da tre persone con un'abitazione di proprietà di 100 mq, paga 246 euro in un anno per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con un aumento del 2,1% rispetto all'anno precedente. Cinque città nell'ultimo anno hanno fatto registrare incrementi superiori al 20% rispetto al 2010 tra cui: Foggia, Venezia, Sassari, Vibo Valentia e Macerata. La media annua più alta si trova in Campania mentre la più bassa in Molise. A Milano la Tarsu arriva a costare quasi il doppio della Tia pagata a Brescia (da 262€ ai 134€). Lo stesso dicasi per la Sicilia, dove la Tarsu pagata a Siracusa (407€) supera di 165,50 € di quella pagata a Caltanissetta.
Analizzati questi dati viene da chiedersi in cosa consista e a vantaggio di chi sia il valore dei nostri rifiuti?

Continuiamo con l'analisi dei dati. Il Sud produce meno rifiuti ma gli costano di più: in media, per pagare la bolletta dei rifiuti si spende di più nelle regioni del meridione (264€), dove l'aumento rispetto al 2010 è stato del 1,5%, seguono le regioni centrali (252€), +2% rispetto al 2010 e il Nord Italia (228€) con un +2,2% rispetto al 2010. Quest'ultimo aspetto è molto interessante: nonostante il Nord aumenti i quantitativi di differenziata i costi per adempiere a questo servizio non calano, anzi, aumentano più del 12% rispetto al 2007.
Indubbiamente, la gestione del ciclo dei rifiuti è emblematica delle tante contraddizioni di cui è vittima il nostro Paese: il servizio non migliora mentre i costi sopportati dalle famiglie sono sempre maggiori. In particolare, le tariffe aumentano di più nelle zone del Paese a più basso reddito. Negli ultimi 5 anni, sono aumentate mediamente del 44% in Campania e del 20% circa in Calabria.
Da Sud a Nord, gli incrementi si registrano ovunque, a dimostrazione della mancanza di una politica nazionale della gestione dei rifiuti, capace di legare gli elementi di costo ad elementi di qualità del servizio. Riguardo quest'ultimo grave aspetto c'è una sorta di incapacità generale imputabile ancora una volta all'amministrazione pubblica e privata competente, di riuscire a far percepire la raccolta differenziata al cittadino non solo come un'imposizione dall'alto ma come un'attività di cui essere in primis responsabile e in un secondo luogo diretto fruitore del valore dei propri rifiuti.
Da un altro punto di vista anche la ripartizione “a valle”, ossia nei confronti di ogni singolo cittadino, dei costi sempre più elevati della raccolta differenziata non sembra proporzionale all'oggetto in questione. Prendiamo il caso della plastica: viene pubblicizzata come una risorsa e non come un rifiuto sebbene continuiamo a pagare di più per la sua gestione. Le risorse derivanti dalla plastica a chi arrivano?

Dopo aver distrutto, sempre seguendo Schumpeter, mettiamo in atto la nostra forza creatrice.

La prima via d'uscita al problema è già in atto: sono in aumento, infatti, il numero delle persone che in Italia vivono in quei comuni in cui si adotta la strategia Rifiuti Zero. Per ora la percentuale di popolazione raggiunge il 3,6% sul totale e si tratta circa di 2 milioni di persone.
La seconda, è quella di rendere il singolo cittadino il reale protagonista della gestione dei suoi rifiuti. Come? Iniziando a far guadagnare al cittadino dai suoi rifiuti e non prevedere l'individuo sempre come un semplice contribuente. Passando dalla teorie alla pratica, il primo passaggio potrebbe essere quello di consentire al cittadino di valorizzare economicamente i suoi rifiuti più facili da individuare come ad esempio le bottiglie di plastica, fogli di carta o cartone, bottiglie di vetro, vasi in plastica portandoli direttamente presso centri di raccolta o riciclo creati ad hoc da imprese private e in concorrenza. In questo modo i centri di riciclo avrebbero a disposizione ingenti quantitativi di rifiuti già selezionati, le municipalizzate minor quantitativi da gestire abbassando quindi i costi di gestione e lo stesso consumatore finale vedrebbe la bolletta ridimensionata, oltre a disporre di un guadagno diretto per i suoi rifiuti più preziosi.
La terza via d'uscita è complementare alla seconda. Per illustrarvela abbiamo intervistato Paolo Glerean di EuPR, l'associazione di riciclatori di plastica europei.
“Non più tardi di un paio di mesi fa, ad un importante convegno sul tema organizzato dal Consorzio CARPI”, ci racconta lo stesso Paolo Glerean, “vedo alzarsi dal pubblico una persona, presentarsi come cittadino consumatore e chiedere ad un autorevolissimo relatore: so che le materie prime hanno un valore sempre più elevato. Se io a casa mia divido e addirittura ripulisco gli imballaggi in plastica, perché li devo poi mettere in un bidone e pagare una tassa invece di avere la possibilità di portarli in un posto diverso ed ottenere un compenso?”

- Dottor Glerean, come ha risposto a questa provocazione?
Ho risposto che in un mondo ideale dove tutti i materiali fossero riciclabili, il cittadino potrebbe portare questi materiali direttamente in centri di raccolta/riciclo dove effettivamente otterrebbe un compenso, in quanto le aziende riciclatrici pagherebbero questo materiale come materia prima.

- Questo mondo ideale ancora non esiste?
Purtroppo la maggior parte degli imballaggi in plastica non è riciclabile ma se nel corso del 2011 le aziende riciclatrici europee sono arrivate a pagare cifre superiori alle 800 Euro a tonnellata per delle bottiglie in PET, il ragionamento del cittadino non è poi così tanto campato in aria.
Un manufatto (e quindi anche un imballaggio) composto da materiali facili da riciclare, magari il cui riciclo fornisca una materia prima seconda di valore elevato, ha un suo valore anche alla fine della sua “prima” vita. Viceversa un manufatto composto da materiali non riciclabili rappresenta un costo per il sistema, in quanto a fine vita si dovranno spendere ulteriori risorse per smaltirlo.
- Quale potrebbe essere la soluzione per ovviare a questo problema?
La soluzione appare quasi troppo semplice: realizzare manufatti riciclabili e non realizzare manufatti non riciclabili. Oggi, purtroppo, esiste una sorta di incomunicabilità tra chi progetta e realizza gli imballaggi (manufatti) e chi li ricicla.
- Che politiche sta attuando l'associazione europea dei riciclatori?
Abbiamo allo studio un progetto per la creazione di un marchio che consenta di classificare gli imballaggi assegnando loro delle classi di riciclabilità. L’adozione di un simile marchio a livello aggregato consentirebbe di orientare il mercato verso forme di imballaggio più efficienti dal punto di vista ambientale; se questo schema diventasse poi la base per costruire una struttura differenziata di contributi ambientali (in base al principio “chi più inquina più paga”) allora i produttori ed utilizzatori stessi di imballaggi troverebbero più conveniente dal punto di vista economico orientarsi verso soluzioni più efficienti.
Produrre tutti gli imballaggi riciclabili, però, non sarà sufficiente ad abbassare la nostra bolletta senza un reale impegno da parte del cittadino nel rendersi protagonista diretto della gestione dei propri rifiuti e senza una concessione da parte delle amministrazioni pubbliche e previste per legge a liberalizzare l'intero settore attraverso un approccio favorevole alla libera concorrenza e che preveda il cittadino come il reale proprietario dei suoi rifiuti.
Dal nostro punto di vista vedremmo molti meno casi di rifiuti lasciati in disparte lungo i margini delle strade se ognuno di noi guadagnasse anche un minimo compenso da quei manufatti abbandonati. Anzi, vivremmo la corsa ai rifiuti.

E tutto questo a vantaggio dell'ambiente, ma soprattutto delle nostre tasche!

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