martedì 7 maggio 2013

TUTTA LA PRESSIONE DELLA CRISI ECONOMICA SUL RICICLO


Secondo CONAI il riciclo degli imballaggi segue l'andamento del ciclo economico del nostro paese. Questa affermazione potrebbe risultare completa se non fosse che i minor quantitativi di rifiuti riciclati hanno riguardato materiali come il legno, passato da 1,27 a 1,05 milioni di tonnellate riciclate (-17,1%), e l'acciaio (-5,6%) nel periodo 2011 e 2012.
Sempre il CONAI aggiunge che il segno rosso dell'immesso al consumo degli imballaggi sia imputabile in minima parte agli imballaggi primari (-2,2%) e in larga parte agli imballaggi commerciali e industriali (-4,5%). Questa dichiarazione sottolinea ancora una volta l'estrema importanza del riciclo indipendente (che si occupa solo del riciclo di rifiuti speciali da attività commerciali e industriali) nel raggiungimento degli obiettivi comunitari. Obiettivi, questi, che con la sola raccolta differenziata e conseguente messa all'asta dei rifiuti da parte del sistema consortile, non sarebbe lontanamente sufficiente al raggiungimento degli obiettivi comunitari di riciclo.
E' importante sottolineare, infatti, come l'aumento delle percentuali di raccolta differenziata nella penisola non abbiano fatto combaciare un conseguente e parallelo aumento delle quote di rifiuti riciclati. Forse il dispendioso sistema a carico di Comuni e cittadini voluto dal governo centrale non è così conveniente come vogliono farci credere?
L'attuale flessione nel riciclo di materiali come legno e acciaio e altri imballaggi industriali non è imputabile alla sola crisi economica ma alla trasformazione in atto da almeno 5 anni nella nostra economia. Da Paese produttore e manifatturiero ci siamo trasformati in Paese trasformatore di materie prime in prodotti destinati all'estero e/o trader di mercato per l'economia europea e mediterranea. Questo cambiamento è in corso dagli anni 2007-2008. Risulta molto strano che CONAI non ne abbia ancora preso visione. Non può essere, quindi, la sola crisi economica a guidare il minor immesso a consumo di imballaggi ma il strutturale cambiamento avvenuto nella nostra economia. 
Tornando alle dichiarazioni di CONAI, non è chiaro perché un minor immesso al consumo dovrebbe coincidere con minor quantitativi di rifiuti riciclati. La connessione non è per nulla automatica e collegata. La verità è che alcuni materiali stanno soffrendo di almeno tre fattori:

- surplus di materiale riciclato non collocabile;
- minor impianti di riciclo presenti sul territorio italiano;
- minor convenienza nel riciclare alcuni materiali.

riciclo imballaggi

Non è un caso che, sempre citando CONAI, la plastica (la quale trova i suoi principali impieghi nel settore industriale e commerciale) non abbia risentito minimamente della crisi dei consumi italiani, registrando un +1.1% nella quota di riciclo nel corso del 2011 e 2012 nonostante l'immesso al consumo sia sceso del -1,1%.

Da anni il Consorzio CARPI cerca di far sapere al vasto pubblico che i rifiuti sono una risorsa economica ancora prima che ambientale, e che in assenza di una concreta convenienza economica nessun operatore di mercato è intenzionato a riciclare ed investire tecnologia e risorse in un settore in cui la materia prima seconda riciclata non trova adeguato piazzamento sul mercato della trasformazione. Questo tipo di sensibilizzazione non dovrebbe spettare solo a noi...

lunedì 29 aprile 2013

TARIFFE FUORI CONTROLLO SUI RIFIUTI URBANI

I rifiuti nel nostro Paese sono ancora considerati dal legislatore e dalla conoscenza comune un problema da risolvere e da eliminare dalla nostra vista. Continuando a sviluppare sistemi ad hoc per la gestione dei rifiuti basati sull'imposizione di tasse, contributi e tributi a carico del cittadino ci permettiamo di elencare alcuni "ottimi" risultati del settore pubblico nella gestione dei rifiuti:
- negli ultimi 5 anni, i costi sono pressoché raddoppiati a Salerno (+98%) e Reggio Calabria (+96%). Aumenti record anche a Napoli (+87%), Bari (+63,5%),Trapani (+55%), Roma (+53%), Avellino (+51%) a fronte di una qualità del servizio che non cambia.

I dati sono contenuti in uno studio realizzato dall’Osservatorio prezzi & tariffe di Cittadinanzattiva, che ha analizzato il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani in termini di costo sopportato da una famiglia-tipo di tre persone, con reddito lordo complessivo di 44.200€ ed una casa di 100 metri quadri.
L’indagine ha riguardato tutti i capoluoghi di provincia (ad eccezione di Pesaro) nel 2012, ed è disponibile on line su www.cittadinanzattiva.it.
Guardando alle cifre a Napoli, la spesa annua per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani ammonta a 529, record nazionale, più del quadruplo rispetto alla città meno cara d’Italia, Isernia (122€). Tra i 10 capoluoghi con le tariffe più alte, solo tre non sono al Sud: Roma (378€), Carrara e Venezia (346€).
In generale, la media più alta si registra in Campania (389€), la più bassa in Molise (154€), a dimostrazione di una marcata differenza non solo tra aree geografiche del Paese ma anche all’interno di una stessa Regione: in Lombardia, per esempio, a Milano (299€) la Tarsu arriva a costare quasi il doppio della Tia pagata a Brescia (146€). Lo stesso dicasi in Sicilia, dove la Tarsu pagata a Siracusa(407€) supera di 189€ la Tarsu pagata a Palermo, o in Toscana, dove la Tia pagata a Livorno(304€) supera di 90€ la Tia pagata a Firenze (214€). E ancora, in Campania, la Tarsu ad Avellino è di ben 274€ inferiore rispetto a quella pagata a Napoli, mentre in Calabria la Tarsu pagata aCrotone è di 109€ più alta di quella pagata a Vibo Valentia (176€).
Italia che vai, gestione che trovi: Il Sud ne produce di meno ma gli costano di più: in media, per pagare la bolletta dei rifiuti si spende di più nelle regioni del meridione (€270), dove l’aumento rispetto al 2011 è stato del 2,3% (+27% rispetto al 2007); seguono le regioni centrali (€255), +1,2% rispetto al 2011 (+15% rispetto al 2007) e il Nord Italia (234€) con un +2,6% rispetto al 2011 (+15% rispetto al 2007).
Di contro, è il Centro che registra la media più elevata in quanto a produzione pro capite di rifiuti: (613 kg), seguito da Nord (533kg) e Sud (495 kg).
I virtuosi della raccolta differenziata, invece, sono le regioni del Nord, nettamente avanti (49%, sostanzialmente in linea con quanto stabilisce la legge) rispetto a Centro (27%) e Sud (21%).
Caro bollette. In media, la  famiglia-tipo ha sostenuto lo scorso anno una spesa di 253€ per il servizio di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, con un aumento del 2,8% rispetto all'anno precedente, con un aumento totale tra il 2007 e il 2011 del 17,1%.
Rispetto ad un anno fa, sono otto le città che hanno fatto registrare incrementi a due cifre: oltre a Bari (+30%), Messina (+22%) e Firenze (+21%), incrementi significativi si sono registrati anche a Novara (+19%), Avellino (16%), Trapani (15%), Milano (14%) e Catanzaro (10%).
Non riciclare in misura adeguata non comporta soltanto costi ambientali, perdite di competitività e maggiori costi gestionali, ma anche il rischio di multe a carico degli Stati membri dell’Unione europea per mancato adeguamento alla normativa discariche (Direttiva 1999/31/CE) e l’Italia detiene purtroppo il triste primate nel numero di procedure d’infrazione avviate.
La fonte è un articolo uscito su Vita.it "Sui rifiuti tariffe fuori controllo" a firma di Francesco Agresti.

LA PLASTICA DIVENTA PERICOLOSA...SE GETTATA IN MARE(CHE SCOPERTA!)

A confermarlo è lo studio OSE (acronimo che sta per Operazione Squalo Elefante) realizzato dall’ associazione MedSharks e dal Settore Conservazione Natura di CTS in cui dimostra per la prima volta che anche la plastica può entrare nella catena alimentare e contaminare così i tessuti organici.
Come ha confermato Eleonora de Sabata, la coordinatrice del progetto: “Per la prima volta al mondo, i risultati mostrano come i rifiuti abbandonati in mare abbiano contaminato anche il pesce più grande del Mediterraneo: lo squalo elefante. Questo grande squalo, un gigante che raggiunge gli 8-9 metri di lunghezza, si ciba esclusivamente di plancton ma inghiotte allo stesso tempo la plastica che galleggia copiosa in mare”.

Un esemplare di squalo elefante
Un gigante contaminato dalle mani dell'uomo, con chissà quali conseguenze: “I tossicologi dell'Università di Siena, che collaborano al progetto, hanno trovato in questi squali tracce di ftalati - additivi aggiunti alla plastica durante la lavorazione: segno inequivocabile che gli squali, oltre ad avere inghiottito la plastica, l'avevano anche assimilata. Con quali effetti non e' ancora chiaro, ma queste sostanze possono alterare la produzione di ormoni”.

La plastica, come il mozzicone di una sigaretta, la lattina della vostra birra non vanno gettati in mare. La prossima volta che avete in mano un qualsiasi oggetto cui intendete disfarvene, pensate bene a dove lo gettate, così da evitare che finisca nello stomaco di qualche ignaro animale.

mercoledì 24 aprile 2013

SMALTIMENTO ILLECITO DI RIFIUTI AGRICOLI

Nel settore del riciclo dei rifiuti speciali di plastica non è poi così anormale vedere lo stupore nel volto di amministratori pubblici locali e nazionali, giornalisti (anche del settore), tecnici e semplici cittadini alla notizia che il riciclo dei rifiuti speciali di plastica da superfici agricole è una pratica consolidata per le aziende italiane che si occupano del riciclaggio della plastica.
Nonostante il riciclo di teli agricoli, sacchi, fusti ed altri prodotti impiegati in agricoltura da alcune notizie di cronaca si può intuire che l'abbandono di rifiuti speciali di plastica da agricoltura sia una pratica ancora diffusa. Ne è un esempio quello che è accaduto nella zona Coldifico di Sassoferrato alcuni giorni fa. A seguito di continue indagini della  Forestale sugli abbandoni di  sacchi in plastica di sementi, fertilizzanti, riempiti di resti di animali selvatici,  7 imprenditori agricoli sono stati multati.
O.R., l’agricoltore denunciato, titolare di un’impresa individuale agricola, è risultato produttore e detentore di rifiuti speciali non pericolosi provenienti da attività agricola,che non potevano però essere abbandonati come rifiuti urbani.


Falò di rifiuti agricoli

La pratica dell'incenerimento a cielo aperto, come l'abbandono di rifiuti speciali di plastica da parte di imprenditori agricoli è una pratica purtroppo ancora diffusa in alcune parti della nostra penisola. Questa tendenza rappresenta un serio spreco di risorse economiche più che ambientali. Visto da un punto di vista industriale, infatti, i rifiuti speciali di plastica non pericolosi, come nel misfatto di Sassoferrato, avrebbero rappresentato una materia prima da immettere nuovamente nel mercato della trasformazione dei polimeri in prodotti finiti.

IL RICICLO DELLA PLASTICA, su Affari e Finanza de LA REPUBBLICA

Finalmente dopo mesi di studi, ricerche ed eventi anche il riciclo industriale dei rifiuti speciali inizio, a pieno titolo, a far sentire la propria voce all'interno della bagarre mediatica del mondo ecologista alla ribalta.
E' di alcuni giorni fa, infatti, la pubblicazione sul sito di Repubblica dell'estratto della nostra ultima analisi del mercato delle materie plastiche a firma del giornalista Luca Palmieri. L'attenzione, in questo caso, è stata rivolta principalmente alla creazione di occupazione del settore anche se gli aspetti trattati dallo studio "Il riciclo della plastica" sono stati numerosi, dall'impatto ambientale ai quantitativi di rifiuti speciali trattati, fino alla spiegazione dell'attuale stato dell'arte della trasformazione delle materie plastiche.

In questo post ci permettiamo di riproporvi l'articolo da più parti segnalato:



Il riciclo della plastica vale 5.160 posti di lavoro

IL LIBRO BIANCO ELABORATO DAL CONSORZIO CARPI OFFRE UN CENSIMENTO COMPLETO. ACCADE PER LA PRIMA VOLTA CHE SI CONOSCANO VOLUMI, QUANTITÀ PER MATERIALI E IL NUMERO DI OCCUPATI. CONSIDERANDO L’INDOTTO LA CIFRA È DI 7.900 ADDETTI



Il riciclo della plastica è uno degli aspetti di maggior importanza nel campo dello smaltimento dei rifiuti, ma presenta ancora grandi difficoltà nel recupero dei dati statistici, visto che gli studi e le analisi effettuate fino a oggi si sono occupate esclusivamente dei rifiuti di imballaggio provenienti dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani. A colmare questo vuoto è arrivato il Libro Bianco “Il Riciclo della Plastica”, il primo studio interamente dedicato al mercato del riciclo dei rifiuti in plastica speciali, elaborato dal Consorzio Carpi (Consorzio autonomo riciclo plastica Italia) in collaborazione con Mattia Cai del Dipartimento Territorio e Sistemi Forestali dell’Università di Padova. La ricerca ha tre finalità principali. La prima è quella di offrire un quadro completo dei flussi di materie plastiche nell’economia Italiana, della loro composizione, della destinazione dei rifiuti a cui danno luogo e dei materiali frutto del loro riciclo. Si vuole poi presentare una rassegna delle principali problematiche di natura economica con le quali gli operatori della filiera del riciclo devono fare i conti e quindi esaminare il contributo allo sviluppo dell’economia italiana che i processi di recupero e riciclo della plastica offrono. Le imprese che fanno parte del settore possono essere suddivise in quattro settori: i raccoglitori, i riciclatori, i produttori e i sostenitori. Con circa 180 kt di rifiuti di plastica da imballaggio riciclate, nel 2011 il consorzio ha prodotto circa metà del riciclo indipendente di questo genere di materiali in Italia mentre i suoi raccoglitori hanno gestito circa 250 kt di rifiuti provenienti in larghissima parte dal territorio italiano. I rifiuti di imballaggio post-consumo rappresentano il valore principale dei volumi complessivamente trattati dal consorzio: nel 2011, le imprese del gruppo ne hanno raccolte 180 kt dalle quali; una volta tolto un 15% di scarto di materia registrato nella selezione dei rifiuti e durante il processo meccanico di riciclo, sono state ottenute oltre 150 kt di granulo per la realizzazione di imballaggi e altri manufatti. La seconda categoria di rifiuti riguarda i rifiuti di beni di plastica, dei quali nel 2011 le aziende hanno trattato circa 50 kt. In questo caso, le operazioni di raccolta sono concentrate principalmente in aree italiane fortemente volte all’agricoltura industriale. Infine, il terzo tipo di rifiuti raccolto e riciclato sono gli scarti di produzione industriale mai diventati prodotti finiti, più comunemente chiamati rifiuti preconsumo o “da diretta”. Questi rifiuti sono modesti per numero (circa 6 kt nel 2011), ma molto importanti per i riciclatori, perché rappresentano una materia prima paragonabile a quella vergine. Nel 2010 i lavoratori occupati nel settore della gestione dei rifiuti in Italia erano poco più di 135 mila, quelli del comparto del recupero e della preparazione per il riciclaggio circa 23 mila. Lo studio vuole però anche far comprendere che dall’attività e dal successo delle aziende dei rifiuti dipendono anche le imprese che ad esse forniscono materie prime, servizi e macchinari. I moltiplicatori occupazionali mostrano così chiaramente che, per ogni posto di lavoro creato in maniera diretta nel settore della gestione dei rifiuti, altri 1,74 posti di lavoro vengono creati in maniera indiretta. Sulla base della stima dell’occupazione diretta nel settore riciclo della plastica ricavata dai dati del consorzio Carpi, l’occupazione indiretta legata alla filiera del riciclo della plastica sarebbe conseguentemente di 3.280 unità. Nel complesso quindi, i posti di lavoro riconducibili direttamente o indirettamente alla filiera del riciclo della plastica in Italia sarebbero così circa 5.160. Infine, se si tiene conto degli effetti indotti (1,45 occupati indotti per ogni occupato diretto), il totale sale a poco più di 7.900 occupati. In base a questa analisi, al settore legato al riciclo indipendente, che gestisce 355 kt delle 745 kt complessivamente avviate al riciclo nel 2011, andrebbero attribuite quasi metà di questi occupati, circa 3.770 lavoratori. Le imprese del settore possono essere suddivise in quattro tipi: raccoglitori, riciclatori, produttori e sostenitori.

giovedì 28 marzo 2013

WASHING WHITER WITHOUT WATER

The future of laundry could be cleaning with plastic beads, rather than with water.

Their bead cleaning technology was developed at Leeds University and Xeros is currently working to commercialise it. According to the company, these polymer beads, used in washing machines instead of water, can “agitate, attract and transport away stain and soil from textile surfaces”. The beads absorb dirt into their molecular structure.

plastic beads

The bead cleaning idea was conceived from studies on how water consumption in the dyeing industry could be reduced, says Xeros chief executive officer Bill Westwater. But the developers of the process started also to look at commercial and domestic laundry. “We thought we could create a business model that works,” Westwater says.

The beads spin in the washing machine along with the dirty garments, and dramatically reduce the water requirement – by up to 90%. The beads are reusable and recyclable, capable of “hundreds of washes before reaching life span,” the company says. They have also proven at least as effective as standard washing with water, especially for removing grease and oil. Laundry detergent is still needed, but at reduced quantities –Xeros’s process consumes only about half of the chemicals of standard washing processes. The company claims that bead cleaning is the “first real innovation” in laundry for 60 years.
However, Xeros beads cannot be used in machines that are designed for washing with water. For the future use of the technology, a switch to bead cleaning washing machines will be required, though Westwater says that these will not be more expensive than current washing machines.
Xeros is currently promoting bead washing to commercial laundries. Bead cleaning machines have been installed in pilot projects in commercial laundries in the United Kingdom. The company is also promoting the technology in the United States, and has installed bead washing facilities in two businesses: a commercial laundry in New Hampshire and a 518-room hotel in Virginia. These installations will enable the environmental and cost benefits of bead washing to be measured.
Westwater believes that use of the technology in commercial environments will mean Xeros will be “proven by professionals,” which eventually will be an advantage in promoting bead washing to consumers. Consumer take-up will take time, however, Westwater admits. However, feedback from consumer research has been positive, he says. “My fear was that our biggest difficulty with consumer adoption would be inertia, but actually that is not what [our research] found”. In particular, the Xeros technology means “no compromise on cleaning,” and bead washing machines will compete on price with standard washing machines – the main concerns for consumers, Westwater says.

More information

http://www.xeroscleaning.com

PEOPLE, PLANET, PROFIT


In un’ottica di marketing 3.0 in cui si passa dalla vendita del prodotto alla condivisione di valori autentici, la chiave principale è il cambiamento di prospettiva, dove l’imprenditore non è più parte del problema, bensì la soluzione.

Believe in the future: invest on happiness to support economic development”, rappresenta il grande dibattito generato dal Comitato Scientifico di Sep Pollution 2013. In attesa della prima Giornata Mondiale della Felicità proclamata dalle Nazioni Unite, ad aprire il dibattito, Antonio Scipioni, responsabile Centro Studi Qualità Ambiente Università di Padova, che ha posto l’accento sull’importanza dell’happiness aziendale come investimento per il futuro: “E’ importante capire che non sempre il concetto di felicità e di aumento del reddito sono paralleli e ci auguriamo che il futuro sia diverso dal passato.”

“L’obiettivo primario delle aziende non deve più essere la vendita, ma il miglioramento del mondo ed il cambiamento del paradigma”- ha affermato Reifer Gunther di Terra Institute, organizzazione premiata dall’ONU, come centro di competenza per la sostenibilità.




“Nella valutazione aziendale, la performance economica ha superato la prestazione sociale e questo genera preoccupazioni- ha sottolineato Lez-Rayman Bacchus, della London Metropolitan Business School- E’ la ricerca della bontà e del vivere bene, alla quale bisogna ambire. Ciò che propongo è di compiere uno studio sul livello individuale, d’impresa e dell’ambiente, coinvolgere i titolari delle piccole e medie imprese per applicare sistemi di lavoro sostenibile ed attuare innovazioni sul piano politico sia regionale che nazionale. Stimoli interessanti possono arrivare anche dai dipendenti: gli imprenditori, che ricevono un feedback  positivo dai dipendenti, sono più felici e migliorano il rapporto con la clientela.